LA PASTORAL SIRINGA
(di A.Felice Maccheroni)
Al VERGARI
SONETTO
0 voi degni di merito e di stima, Che avete di saper, fervita brama,
Ed essendo degli uomini la cima, Oggi vergari, ogni pastor vi chiama.
Voi prego, che ogni verso ed ogni rima
Voler gradir della mia musa grama,
Che con ardor vi loda e vi sublima,
Qualor forma l'ottave, e le declama.
Perchè nacqui pastor, mi piace il tema Sui pastori cantar,
che intorno a Roma Lieto vedrò per sino all'ora estrema.
Scusa vi chieggo se di un chiaro idioma, Di bei concetti ancor, l'Opera
è scema, Che mai serto di allor, mi ornò la chioma.
Le avventure dei pastori
CANTO PRIMO
ARGOMENTO
Nelle montagne di Leonessa, mille Pastor presso le pecore e l'agnelle
Passan tutta l'estate, e par che brille Ciascun di gioia, in queste
parti e quelle; Lasciando poscia le natìe lor ville, Le consorti,
li figli e le sorelle, Vanno in Maremma, e quì dal prato al
colle A tutti per la caccia il sangue bolle.
STANZA PRIMA
1
Nume dei Citeron dall'alto poggio Trasmetti a me della tua luce un
raggio Per ridir quanto accade in Piedelpoggio E di Leonessa in questo,
e in quel villaggio; Come i pastor lungi dal proprio alloggio Passano
i mesi in loco ermo e selvaggio Come partire, e poi tornar li veggio,
E di amor vaneggiar com'io vaneggio.
2
Vaga ninfa Siringa era dabene ,Mentre dietro di lei correa Dio Pane
Da Giove in canna trasformata viene Ma fermo l'amator non già
rimane, Forma con quella strepitose avene Che poi suonar solea di
sera e mane, Sol per memoria di quel biondo crine Fra pastori, per
valli e per colline.
3
In oggi a suon di quell'istessa canna
Avrò ragion cantar sù di ogni donna
Ch'Amor pel Vago a sospirar condanna
Quasi per fino che diventa nonna,
Come ciascun pastor nella capanna
Sol per essa travaglia, e non assonna
Appena allontanato dalla zinna
Che più non sente di cantar la ninna.
4
Leonessa. a piè della montagna Corno Giace, qual' offre a noi
di estate o inverno, Ameno, o salutifero soggiorno, Che in altra parte,
eguale io non discerno; Sono varj villaggi ad essa intorno, Che talvolta
fra lor fanno un'inferno; Da spaventare Enea, Pallante e Turno, Marte,
Nettuno, e ancor Giove e Saturno.
5
E quest'è sol dell'ignoranza effetto, E l'esser privi di prudenza
affatto; Se per ischerzo un tal pronuncia un detto L'altro si mostra
furibondo in atto; Per parentela non v'è più rispetto,
L'amicizia si oblìa tutto ad un tratto, E per piccola inezia
da per tutto, Sovente avviene più di un caso brutto.
6
Li villaggi, di cui parlo e ragiono,
Viesci, La Sala, Vindoli, Volgiano,
San Clemente mai posto in abbandono,
Vallonga, Casa Nuova, e quei dei Piano,
Piedelpoggio, Albanetto, alberghi sono
Sol di pastor, seminator di grano.
Possidente non v'è quasi nessuno,
In miseria per ciò vive cìascuno.
7
Alla meglio che può l'uno s'ingegna Nel paese, non già
nella campagna, Và l'altro al bosco a provveder la legna, Che
spesso col sudor la fronte bagna; Questo, conforme la natura insegna
Fatica molto, e poco assai guadagna; Quello per provveder le sue bisogna
Non dorme, e il travagliar dormendo sogna.
8
Chi per li campi, fra le spine e i sassi Guida gli armenti propri,
intorno ai fossi, Chi di animai bovin pur segue i passi; Fra gli orni,
fra ginepri e fra li bossi; Chi per sublimi, e chi per lochi bassi
Si aggira, notte e dì con suoi molossi; Chi le capre, degli
antri nei recessi Guida là dove son gli alberi spessi.
9
Chi và soletto e chi col fido amico Guidando il gregge, in
uno e in altro loco, Chi con la Ninfa sua per colle aprico, Favellando
di amor sì prende gioco; Questi talvolta in men ch'io parlo
e dico Ella divien Salmace, ed egli Proco, Ma se il pastor la pastorella
ha seco, Che far dovrà? sappiam, ch'amore è cieco.
10
Quei privi di ogni bene di fortuna Passano i giorni, in parte erma
e lontana L'uno osserva le fasi della luna L'altro fa calze o pur
fila la lana; Questo leggendo finchè l'ora imbruna La Storia
Sacra, o pur quella profana; Quello col suon di boscareccia avena
Giulivo a pascolar l'agnelle mena.
11
Colui che imita le ingegnose pecchie Non perde il tempo a raccattar
le nocchie, Ma per le giovanette e per le vecchie Fa le stecche da
petto e le conocchie, E l'altro per tener deste l'orecchie, Racconta
al suo compagno le pastocchie, Cerca taluno per l'ombrose macchie
Per li nidi trovar, delle cornacchie.
12
L'amator delle muse e delle rime, Non quel pastor, che già
le forze ha dome, Nella scorza de' faggi in versi esprime Degli aspri
suoi successi, il quando, il come E perchè amor nel petto il
cor gli opprime Scrive dell'Idol suo l'amato nome, Rileggendolo poi,
sospira e geme Per esser lungi la sua dolce speme.
13
Quando talora in questa parte e quella, Tenebrosa divien l'aria tranquilla,
Eolo gii Euri furenti all'armi appella, Al balenar si abbaglia ogni
pupilla; Soffia Aquilone, e vien la ria procella. Allo scoppio dei
tuono il suoi vacilla, Sotto la rupe ogni pastor si affolla, E può
ciascun da capo a piè si ammolla.
14
Quando dalle vicine ombrose piante. Sorte lupo farnelico sovente,
Sù gli armenti si scaglia ad un istante, Li spaventa, sconvolge,
adopra il dente, Il vigile pastor corre anelante, Chiama contro la
belva il can mordente, E convien ch'ai latrati, ai gridi, allonte
Ella trovi a fuggir le gambe pronte.
15
Luglio ed agosto, e di settembre il mese Nelle montagne fra le piante
ombrose Passano i giorni, e tornano al paese Tre o quattro volte per
le vie scabrose Quelli ch'anno d'amor le voglie accese, Per riveder
le lor future spose Fanno spesso ritorno alle loro case Per ad esse
parlar con dolce frase.
16
Quei che da presso ragionar non ponno Onde far noto l'amoroso affanno
Tutta la notte senza prender sonno Sotto la lor fenestra se ne stanno;
Cantando qui, dal genitor, dal nonno E dai vicini ancor sentir si
fanno Dicendo alla sua Dea che adopri il senno In adempir dell'amatore
il cenno.
17
Un suona lo strumento, e l'altro in rima
Sfoga con questo dir l'ardente brama:
Diva genti], di sommo pregio e stima,
Che Venere in beltà ciascun ti chiama,
Se a farmi innamorar fosti la prima, In me ritrovi un amator che ti
ama, Questo mio cor per te sol si consuma, Tu sei la Ninfa Egeria,
ed io son Numa.
18
Queste dicendo, ed altre cose ancora, Inoltrata di già la notte
oscura,
Si ode il gallo cantar, sorge l'aurora;
Sorte troppo, per lor crudele e dura,
Lasciano il canto, e senz'altra dimora
Tornano degli amanti alla pastura, Senza poter neppur, l'amata e cara,
Per poco vagheggiar, che pena amara.
19
Colui mediante il principal permesso, Che tre giorni si dee pigliar
di spasso, Secondo l'uso dagli antichi messo, Quando ciascun pastor
parea gradasso; Và tutto il giorno alla sua Diva appresso,
Dove lei move il piè, lui move il passo, Dal bosco al prato,
e dalla fonte al fosso E par che vogli a lei saltare addosso.
20
L'altro, a cui molto piace la bisboccia, Che per un bravo giocator
si spaccia, Per giocare alle carte, ovvero a boccia, Và tutto
il dì, dei dilettanti in traccia. Perde, e torna a giocar,
dalla saccoccia, Or dieci soldi, ora tre paoli caccia, Rimasto alfin
senza moneta spiccia Rigioca, e perde ancor la sua pelliccia.
21
Per giocare taluno ha per costume, Restar non sol colle monete sceme,
Di far debiti ancor, perchè presume Ritornar vincitor, ma è
vana speme; S'io l'esorto a comprar questo volume, Che l'istruisce,
e lo diletta insieme, Forse, risponde alle mie voci prime, Soldi non
ho per acquistar le rime.
22
Ma v'è chi mostr'aver cervello in testa, Che nell'agire ha
di Lincèo la vista, Affatto privo di denar non resta Quantunque
stia de' giocatori in lista; Per il giorno feriale, per la festa,
Tiene con sè, benchè poca provista, E per quando gli
occorre a bella posta, Qualche moneta ci ha sempre riposta.
23
> Se il caso vuol, che a pasturar l'armento Il buon pastor non
sia per tempo giunto, Contro di lui più di un profano accento
li vergaro pronuncia in un sol punto, Minaccia licenziarlo sul momento
Benchè sia quasi nulla il disappunto, Quegli che teme assai
di tale affronto Portargli un pajo di pollastri è pronto.
24
In queste parti, io vi confesso il vero, 2 simile ad un Principe un
vergaro, Che dà poca ricotta, e molto siero Nella scodella
a ciascun pecoraro; Esso ch'ha su di lor libero impero, Intento sempre
a risparmiar denaro, Di formaggi fornir la casa io miro, Crede ai
detti miei, che non deliro.
25
Per lo spasso, non già come i pastori; Si prendono costoro
tutti i piaceri, Nel paese tutt'or fanno i signori, Han per la masseria
pochi pensieri; Si fanno grossi, e grassi come tori Aumentando ben
tosto i lor poteri, Vanno con aria tal, certi vergari, Chembrano persone
senza pari.
26
Cotesti tali di cui parlo adesso, In vece di pigliarsi tanto spasso,
Potrebbero agli armenti stare appresso, E portar ben di rado, altrove
il passo; Se un'animale è da malore oppresso, Adoprar ben sollecito
il salasso Deve, e il tutto osservar con occhio fisso, Legger talor
l'erbario, e noti già il bisso
35
Quì per veder dei gladiator la lotta, 0 la corsa che altrui
molto diletta, Dalle propinque ville, unita in trotta, Sollecita altra
gente il passo affretta, Per un premio assai vil; finchè si
assetta Del prato più vicino sull'erbetta, L'un con l'altro
si strazia, e si maltratta, E poi no non si ha da dir: che gente matta!
36
Si vede ancor per piccolo guadagno,
Stare alla mossa due pieni di impegno,
Move ad un tratto il piè, Tizio e il compagno,
Chi primo arriva al destinato segno;
Ed avendo ambedue lesto il calcagno
Giungono insieme, e si armano di sdegno;
Ciascun pretende la vittoria in pugno,
Per cui si rompe l'un cori l'altro il grugno,
37
Colui che tiene avanti un tavolino. Ch'è di tal gioco direttor
sovrano, Delli due litiganti il cor ferino Placar volendo si affatica
in vano; La contesa a sedar corre il cugino, Si frappone l'amico ed
il germano; Pria che il volto a ciascun torni sereno Ci vuol di vino
un quartarolo almeno.
38
Quando poi giunge di Settembre il fine,
Che ogni giorno dal ciel la pioggia viene,
Vedendo nevicar per le colline,
Dice il pastor: quà non si stà più bene;
D'uopo è fuggir dalle pendici alpine,
Ed in Maremma ritornai, conviene;
Per cui Paolo, Francesco e Giovannone,
L'uno e l'altro a partir già si dispone
39
Dice ad essi il vergaro in chiari accenti: Dovete far partenza tutti
quanti, Che vicini ormai sono i momenti Di partire di quà con
passi erranti; Li pastori benchè poco contenti Tornano alle
lor case in brevi istanti, Alle donne per far questi racconti: Che
i fagotti al partir tengano pronti.
40
Senza punto indugiar, le poverelle,
Benchè siano di ciò poco tranquille,
Incominciano a far, pizze e ciambelle
Secondo l'uso delle nostre ville;
Piatti di maccaroni e di frittelle
Fanno ai mariti, ed altre cose mille
Per quel giorno che ognun volge le spalle
Ad esse, e dritto và per altro calle,
41
Quando poi di partir prossim'è l'ora Giovanni mette il basto
alla somara, Pietro dice alla figlia: addio Leonora, Vòlto
alla sposa, Addio consorte cara; Ed ella, ch'il partir di lui l'accora
Di accompagnarlo non si mostra avara, Nel distaccarsi poi gli fa premura,
Che le scriva sovente, e si abbia cura.
42
L'amante nel partir dalla sua Diva, Dentro dei petto una gran pena
prova Ella, perchè di lui rimane priva, Conforto alcuno al
suo dolor non trova, Dice: tu parti, addio, se vuoi ch'io viva Dammi
del viver tuo spesso la nova, E se vuoi ch'il mio cor dolcezza beva,
Fa che li scritti tuoi spesso riceva.
43
Di ciò temer non dei mia dolce speme Egli risponde, mio bel
Sol, mio Nume Serbati fida a questo cor che geme Or che va lungi dal
tuo chiaro lume, E perchè sol di te molto mi preme,
Scriverti ogni ordinario avrò in costume, E tu s'hai pur di
me presente il nome, Le risposte farai, sul quando e come.
44
Le stringe poi la man, siamo promessi Segue a dir: mia sarai, se non
mi lassi; Con questi detti nella mente impressi Resta colei con occhi
umidi e bassi; Quegli con altri per la via già messi Si sono,
e vanno via con lenti passi, E spesso indietro come già vi
dissi, Si volgono a guardar con occhi fissi.
45
Da quei villaggi, in questo tempo ogni anno Parte col padre il figlio,
il zio col nonno, Restano appena quei che più non hanno Lena
e vigor qual pria, per cui non ponno; Costoro in guardia delle donne
stanno, Gli altri, conforme i lor bisogni vonno, Uomini adulti e giovani
di senno, Vanno per quella via ch'ora vi accenno.
46
Con gli armenti di già posti in cammino Sia tempo burrascoso
o pur sia buono Chi per Fuscello và, chi per Pulino, Chi per
Terni passar disposti sono Ma sol di quei, che passano il Tascino,
E per cima di monte lo vi ragiono Che salita e scesa un giorno sano
Devono andar pria di trovare il piano.
47
Passano Cantalice, e ogni collina Che in piedi sostener si ponno appena,
Già si scorge Rieti, e si avvicina La sua pianura fertile,
ed amena; Mentre ciascun per quella via cammina Di uva si ingegna
far la panza piena, Che ogni pergola al dir di ogni persona Gran copia
al suo cultor, produce e dona.
48
Quindi per la Città fanno il passaggio, Presso l'Ornaro hanno
la sera alloggio; Seguendo poi ciascuno il suo viaggio Passa di S.
Lorenzo in mezzo al poggio; Và per fangose vie pien di coraggio
Che gli serve il baston di forte appoggio, E di Nerola omai s'io non
vaneggio All'antica osteria giunger li veggio.
49
Quivi per rinfrancar lo spirto lasso Una foglietta in tre, di vino
rosso Fanno cavare, Andrea, Pietro e Tomasso Da tre bajocchi, o pur
da mezzo grosso; Valente quì però non ferma il passo
Sento che ha voglia ber, l'acqua del fosso, Perchè poco denar
porta con esso, Non cura aver nell'osteria l'ingresso.
,50
Beve ben volentier l'acqua corrente Felice, ancor con placido sembiante:
Questa non fammi vacillar la mente Nè mi riduce qual Pentèo
baccante, Che di Lesbo non è quel vin possente Nè l'aureo
di Bordò vino spumante ; Così dicendo dalla valle al
monte Guida gli armenti suoi cori voglie pronte.
51
Se anch'io Lettor, sù gli Apollinei chiostri Stesse tuttor
della poesia fra i mastri, S'alla mia musa, ai miei deboli inchiostri
Oggi tutti in favor fossero gli astri, Di cotesti pastor dei tempi
nostri Tutti ridir vorrei, casi e disastri, Poichè passando
per quei loghi alpestri Han da far molto coi guardian campestri.
52
Se il buon pastor da quella via che tenne, Si allontanò più
di quaranta canne, E a pascolar gli armenti si trattenne Dove piantate
son l'altrui capanne, Alla sua volta il guardian sen venne Qual fier
mastino con acute zanne, E minaccia in tal guisa Zabulonne Che dir
si sente: Chirieleisonne.
53
Talor mostrar volendo audacia troppa A Pasquale e a Pompeo tolse la
cappa, Ma robusto un di lor, non gia di stoppa, L'afferra e dice a
lui qui non si scappa, Forse credevi ch'io portassi in groppa, E il
pegno in questo dir di man gli strappa; Che sebben fosse stato un
Marc'Agrippa Tentato avrebbe a lui forar la trippa.
54
Inoltrandosi poi senza l'indugio Lungo la via, quand'ecco altro disagio,
Viene avanti un guardian con l'archibugio, E prende con furor di mira
Biagio, Nella fuga costui trova rifuglo, Ma dir gli si potria: và
pure adagio Che il vergaro, di già, detto Remigio Ha placato
quel crudo animo stigio.
55
Per un pero, una mela ed altro frutto,
Parlo sol per colui ch'è troppo ghiotto, Hanno incontrato più
d'un caso brutto, E si son presi ancor più d'un cazzotto; Della
robba, il padron sta da per tutto, E non vuoi già passar per
un merlotto; Onde per quel cammin da voi già fatto Pastori
miei non si può fare il matto.
56
Senza gustar neppure di uva un rampazzo,
Che di quà vendemmiato hanno da un pezzo Giungono alli Massacci,
e qui lo stazzo Veggo piantare a due colline in mezzo, Chi di quà,
chi di là prende sollazzo
Con quella libertà che non ha prezzo, Cantano versi con la
rima in uzzo
Della partenza fatta dall'Abruzzo.
57
Si tuffa il Sol nel mar, l'aere si annotta,
Con gli armenti all'ovile ognor si affretta E mentre stan facendo
l'acquàcotta
Si fa veder più di una nuvoletta;
Lampeggia verso Siena, e il tuon borbotta In lontananza, e la tropèa
si aspetta;
Ecco che arriva, ogni pastor si appiatta Sotto un arbore, o pur dietro
una fratta.
58
Tuona e lampeggia, e piove in guisa tale, Africo soffia, e l'Aquilon
crudele,
Che per coprirsi, il ferajol non vale A Domenico, a Carlo ed a Michele;
Chedono in van soccorso alla Dea Pale, A Giove, a Marte, a Giuno ed
a Cibele; Onde è costretto ogni pastore umile
Sulle spalle pigliar d'acqua un barile.
59
Così passar convien la notte sana Ma sorto il Sol dall'indica
marina Comunque il tempo sia, la vìa Romana Ripiglia ognun
come il vergar destina, Monte Libretto passano e Mentana Non molto
lungi alla Città latina, E molti vanno per la via che mena
Presso Corese, nella spiaggia amena.
60
Tutti vicini alla Città di Marte, Lascio andar quei, che vanno
entro le porte, Che risortendo poi dall'altra parte Vanno cercando
più felice sorte, Parlo sol di color. che fanno l'arte, Che
Abele esercitò sino alla morte, Incamminati per le strade aperte
Ver le tenute, già di erbe coperte.
61
Al fin veggo arrivar tutti in tenuta,
Chi a Torre Nuova, e chi va in Pratalata,
Chi l'amena Valchetta ormai saluta,
Chi torna alla Casaccia e chi all'Olgiata;
E v'è chi riede che pensier non muta
Dove passò l'antecedente annata,
Chi di qua chi di là con faccia lieta
Giungono tutti alla desiata meta.
62
Or che sono in tenuta mi direte Saranno lor le pene terminate? Fra
mille angustie adesso li vedrete Soffrire in guisa tal, che fan pietate;
Che debbono tutt'or, se nol sapete, Combatter con le pecore figliate,
Che la flemma di Giobbe e la virtute Neppur sarì bastante,
Dio Salute.
63
In questo tempo che l'armento figlia Prova ciascun Pastor, fastidio
e doglia, Mangiar latte non può, per cui sbadiglia, Della ricotta
in vano ancor si invoglia Deve la spesa, che da lor si piglia, Sette
giorni bastar, voglia o non voglia, Ma il pane asciutto sol non so
se vaglia Un corpo sostener, che ognor travaglia.
64
Mi dice un certo tal, col suo linguaggio
Compartire ai pastori talvolta veggio
Ora carne porcina, ora formaggio
Dal vergaro, che n'ha tutto il maneggio,
Io rispondo: non è che un solo assaggio,
Che di rado si dà, nè qui vaneggio,
Ma che ciò sia per lor debole appoggio
Lalli mel disse un dì, sopra di un poggio
65
Così dell'aria esposti all'intemperie Dovendo fare ognun faccende
varie, Trovandosi fra mezzo alle miserie, Che sono al viver lor tante
contrarie, Scorre lor lento il sangue entro l'arterie, Scemano in
un, le lor forze primarie E questi versi miei, queste memorie Non
son favole già, son vere istorie.
66
Fra mezzo a tanti guai, che li martora, Uno peggior convien ch'io
ne dichiara, Senza capanna il ritrovarsi ancora Più che mai
rende lor la vita amara; Mentre soffia Aquilon, l'algente Bora Sopra
di lor la grandine prepara, E li molesta assai mattina e sera Or la
pioggia dirotta, or la bufera.
67
Ma veggo il buon vergar che il s'ito accenna Dove voglia piantar nuova
capanna, Descriver non potrei con la mia penna Quanto ciascuno in
tal lavor si affanna; Chi con la ronca, chi con la bipenna Taglia
una frasca, e chi taglia una canna, Chi pianta un legno a guisa di
colonna, Chi per l'opra ultimar neppure assonna.
68
Fatto con energìa questo novello Lavor, che viene al fine s'io
non fallo Dopo otto o dieci dì, da questo, e quello Si ode
dir, lode al Ciel, siamo a cavallo Pensa nel tempo istesso un capannello
Farsi ciascun pastor senz'intervallo, Per qui dormire placido e tranquillo
Presso la mandra allor che canta il grillo.
69
Come il nocchier dopo fatal procella Mira l'onda del mar fatta tranquilla,
Scorto alla riva da propizia stella Lieto non teme più Cariddi
e Scilla; Dopo lungo soffrir per questa e quella Parte ciascun di
lor di gioja brilla, Che il tempo viene ormai, che si satolla Di latte
e pane, e non di aglio e cipolla.
70
L'eccidio arriva degli agnelli, e viene L'ora di non mangiar più
solo il pane, Priva dei figlio con le zinne piene Di latte l'umil
pecora rimane, Di mungerla al pastor solo conviene, Mattina e sera
con maniere umane, Fare il formaggio pria per il padrone La ricotta
per sè, ch'è ben ragione.
71
Così mangiando poi ricotta assai Non si mangiano più
pagnotte sei, Lo vendono e rimediano i lor guai, Che se non fosse
ver non lo direi; Altri incerti hanno ancor se pur nol sai, Ch'è
ben dover di ringraziarne i Dei E con premura agli interessi sui Bada
ciascuno, e non cura gli altrui.
72
Oltre il vendere il pan per uso antico, Che per bisogni lor ciò
sarìa poco, Chi della caccia o dell'iudustria è amico
Può guadagnare assai per ogni loco, Miro nel fertil piano Lodovico,
Che non ama di star vicino al foco, Spiri il Nordico vento, o pure
il Greco Guida la gregge a' paschi, e i veltri seco.
73
Con gli archetti la lodola si piglia Dove sta della stoppia ancor
la paglia, La calandra, il babusso a meraviglia, Il cardellino e l'inesperta
quaglia; Lungi dalla capanna alcune miglia Di tender le lacciole non
si sbaglia, Qui si vede lasciar contro sua voglia La merla, il tordo
la mortal stia spoglia.
74
Matteo, che tanto amante è della caccia Si toglie dalle spalle
la pelliccia, Che mentre, và degli animali in traccia Quando
freddo non fà, forse ?Vimpiccia, Costui per prender più
di una beccaccia Mette i laccioli presso una roviccia; Si affanna
in guisa, che il sudor gli goccia, Per empir di augelletti ogni saccoccia.
75
Dal colle al prato Gasperin galoppa Dietro una lepre, che veloce scappa,
Ma perchè in giù facilità non troppa, Non ha
in fuggir, tosto il suo can l'acchiappa; Benedetto ch' ha sempre il
vento in poppa Più di una volpe benchè furba incappa
Nei lacci suoi, de' quali piena zeppa La valle, il monte, e l'una
e l'altra greppa.
76
Qual Meleagro un certo Giambattista Con lo schioppo sen và
per la foresta, Caprio o cignal che si offre alla sua vista Con un
colpo a' suoi passi il corso arresta; Ciascuno in somma, nuove prede
acquista In ogni giorno, in quella parte e questa, 0 ne! monte, o
nel piano, o per la costa Dove si sà che l'animai si accosta.
77
Benchè spinto dal genio il buon Valerio Più con la caccia
non si prende svario Essendo vecchio, bench'abbia criterio Poco può
guadagnar fuor del salario, Onde recita il di divoto e serio Più
di una parte di rosario, Incominciando: Deus in adjutorio Per l'anime
che stanno in Purgatorio.
78
Li giovani che son tanti colossi Talvolta ancorchè siano stanchi,
e lassi Fra l'orror della notte intorno ai fossi, Per le spallette
con erranti passi, Vanno in tre o quattro armati di palossi Con bravi
cani, onde spinose e tassi Nella caccia notturna, e i ricchi anch'essi
Se si fannno trovar restano oppressi.
79
Fu lor vietato, e non fu poco il danno, Che qual si usava a tempo
di mio nonno La notte a caccia, corpo di Satanno Più con la
lanciatora andar non ponno, Parlo di quei ch'entro i confini stanno
Assegnati da lor, che ciò non vonno; Ma i pastori non son scarsi
di senno Sogliono rispettar dei capi il cenno.
80
Di più, la cacciagion fosse qual sia Con lo schioppo ammazzata
esser dovea, Altrimenti per venderla qual pria Dentro Roma portar
non si potea, Ora però non credo dir bugia, Far l'uno e l'altro
qual primier solea, Porta o manda in città la caccia sua, Sia
beccaccia, sia starna, o pur sia grua.
81
Così per sostentar le lor famiglie, Di industriarsi ha ciascun
pronte le voglie. Pensando aver piccioli figli e figlie Lasciati a
casa oltre l'amata moglie, Tante in mare non son forse le triglie,
Quante soffron costoro angustie e doglie, Che il dì movono
il piè per le boscaglie Dormon la notte sull'aride paglie.
Fine del Canto primo.
