GIUNTA
DELLA
PASTORAL SIRINGA
STANZA PRIMA
1
Mentre l'anno correa sessantanove, Mille amanti, non sol contro le
Dive, Faceano amari lagni in ogni dove, Ch'erano dell'onor rimaste
prive; Più di un marito trasformato in bove, Spargea querele
per le patrie rive, Che minacciava l'infedele sua moglie, Di rimandarla
alle paterne soglie.
2
V'è qualcuno però che tira e coglie, Qual cacciator
di lodole e di quaglie, E nella mente altri pensieri accoglie, Che
la sua donna fà cascar le maglie; E perchè il nodo maritai
discioglie Sol Cloto, colle forbici e tenaglie, Pensa mandar la perfida
consorte, Molto più giù delle tartaree porte.
3
Un tai Colleverdan si lagna forte, Per marachelle barbare scoperte,
Che la sposa gli fà le fusa torte, Mentre spesso con altri
si diverte; Lui per voler della maligna sorte, Di Roma stà
nelle campagne aperte, Inarca pieno di stupor le ciglia, Che senza
l'opre sue, la moglie figlia.
4
Se tutto allenta, al suo furor la briglia, Se contro questa perfida
si scaglia, Se per le treccie, intrepido la piglia E con un'arma la
ferisce e taglia; Più di uno gli dirìa: chi ti consiglia
Ella così trattar, certo non sbaglia, Che un'infedele femmina,
e lasciva, Il marito non dee lasciarla viva.
5
Di simil taglio, in qualunque altra riva,
Un numero non piccolo si trova,
In Villa Lucci è cosa positiva,
Come all'orecchio mio giunse la nuova,
Un giovane amator colla sua Diva,
Per farla partorir fece la prova,
Che puoi mi è stato detto in chiaro stile:
Non mica fece cecca il suo fucile 1
6
Di un altro caso a questo non simile,
Parlar vi devo schietto e naturale,
Donna ancor di età fresca e giovanile,
Senza dirvi ch'è moglie al tal di tale;
Avrìa dovuto partorir di aprile,
0 poco dopo dei tempo Pasquale,
In vece nel gennar diede alla luce
Un pargoletto che parca Polluce.
7
Al marito di lei, mentre conduce
Cotesta nuova, una sonata voce,
Accesso di furor, col guardo truce, Una iena sarà, la più
feroce; E quale scusa a lui la moglie adduce. Se torna in patria rapido
e veloce?
Sarà costretta dire a lui pian piano, Ti ho mandato quest'anno
a Cornazzano.
8
Chi potrebbe tener ferma la mano, La rabbia, l'ira, collo sdegno a
freno? Chi colla spada di Scipio Africano, Non aprirebbe alla consorte
il seno; Per poi gettarla in mezzo ad un pantano, Per la collera sua
sfogare appieno, Acciò dall'altre femmine, disposto Fosse,
di star perpetuamente al posto?
9
Certo che opererebbero all'opposto L'altre femmine tutte, in veder
questo, Quando qualcuna si vedesse accosto Un che facesse un atto
disonesto, Il derentan gli volgerebbe tosto, Pria di sentir dalla
sua bocca il resto, Penseriano a colei Silvia chiamata, Che per fallire
fù viva bruciata.
10
Sfuggerìa l'occasione di esser tentata Dai giovanotti dell'età
fiorita, Nessuna avrìa piacer di esser m'enata Rhum a bere,
rosolj ed acquavita Nè desiderio di esser salutata Avrìa
da gente forastiera ardita, Neppur che la guardasse alcun soldato,
Di quei ch'hanno il concedo limitato.
11
Nessuno avrìa desìo trovarsi a lato Sola con qualche
povero romito, Nè con il frate che và sempre armato
Di stocco, e di diabolico prurito E da pagar la decima al curato,
Sola noti anderìa, ma coi marito, Nè andare in casa
lo farìa giammai, Che si potrìano far chiacchiere assai.
12
Del sole allo spuntar dei primi rai, Quando rimena il nuovo giorno
a noi, Penserìa solo a rimediar li guai, A stare in casa e
far li fatti suoi Alla famiglia penserìa, nè mai ,Alli
malanni altrui, prima nè poi, Il compare, il vicino ed altra
gente, Da se lungi terrìa continuamente.
13
Susanna imiterìa donna prudente Penelope, Cornelia ad ogni
istante, Solo al marito penserìa sovente, Che dalla casa sua
vive distante L'innamorata giovane, la mente Rivolta ognor terrebbe
al solo amante, Nè penserebbe mai, di aver vicino Un di cattivo
seme, un tabacchino.
14
Nè coll'altre sfacciate, in viti festino Andrebbe mai, quando
che l'aere bruno, Per la notte ballar sino al mattino, Cosa che approvar
mai potrìa nessuno Andrebbe a letto a riposar, per sino Che
cantano li galli ad uno ad uno, Per il filo dipoi senz'indugiare,
Poter delle faccende ripigliare.
15
Ma queste invece le veggo scherzare Coi patriotti non sol, col forastiere,
Che talvolta le fanno ímporrazzare Col tracannevol viti, più
del dovere; E la chitarra per poter suonare Fanno dei tutto con belle
maniere, Fanno mille promesse a questa, a quel Onde potere alzare
la gonnella.
16
Di una piena di brìo benchè non bella, Che son poche
le belle in ogni villa, li curato ch'è giovane, la appella
Con riso in bocca, e con idea tranquilla; E pensa sol nel favellar
con ella, Poter nel guazzo suo metter l'anguilla, E senza tanto replicar
le prove, Fà che il marito suo diventi bove,
17
Framezzo agli ignoranti in ogni dove, Di qualsiasi prete ogni femmina
pave,
Se egli con essa, la sua lingua move, La piega al suo voler, fosse
una trave; E lo dirò per otto volte o nove, Ch'egli al fin,
dove vuoi mette la chiave, Perchè si maritate che zitelle,
Son presso Licaone umile agnelle.
18
A questi si dovria conciar la pelle,
Che lo scandalo son di nostre ville,
Dovunque vassi, in queste parti quelle,
Si ode parlar di lor, da bocche mille;
Che sempre vanno a stuzzicar le belle,
Nice, Clori, Dorilla, Irene e Fille,
E l'una e l'altra di tener non lassa,
Se prìa non mette il pesce entro la nassa.
19
Invece di andar sempre a testa bassa, Con il breviario in mano o dir
la messa E se accanto una giovane lor passa, Non dovrìano guardare
in faccia ad essa; L'arresta, ragiona e ci si spassa, Per fin che
il suo prurito a lei confessa, Ed ella essendo assai debole e sciocca'
Vien da pollanca trasformata in biocca.
20
E perchè ardita non aprir la bocca,
Per dire a quel fellon : da me ti stacca,
Che parlar colle donne a te non tocca,
E se toro tu sei, non son'io vacca;
Di bere non sperar nella mia brocca,
Che per piegarmi non so tanto fiacca,
E tu pensa a restar nel celibato,
Come, se ti rammenti, hai pur giurato.
21
Perchè non dirgli ancor: signor curato Perchè non pensi
al culto, al sacro rito, Invece di sprecare il tempo, il fiato, Con
me che penso di pigliar marito; Qual figura farei dopo sposato, Da
me nell'avvedersi esser tradito, Non ritrovando quella parte intatta,
Conforme la mia madre me la fatta.
22
Ma questa essendo di cattiva chiatta, E perch'è ingorda, mal
divota, ghiotta, Come la pera quand'è già strafatta,
Cade per terra colla prima botta ; Amico, tu lo sai, quando la fratta
Della tua vigna, in qualche parte è rotta, A coglier l'uva,
benchè non matura, Vanno diversi nella notte oscura.
23
E l'amatore pien di amorosa arsura, Quando l'aspetto angelico non
mira, Pensa all'amata, che non altro cura, Perchè stà
lungi, palpita e sospira ; Le scrive e fà saper, che stia sicura
Della viva sua fè, che non si aggira, Intorno ad altra mai
diva gentile, Ancorchè fosse a Venere simile.
24
E l'amata di lui, perfida e vile,
Che giurò tante volte esser fedele,
Empie in altra fontana il suo barile,
Spiega per altro mare ognor le vele;
Tu come un'agna la credevi umile,
Invece di una tigre è più crudele,
Quand'è lungi da te, se il dir non falla,
Con altri amanti nei festini balla.
25
L'ammogliato dirò, quando che dalla Sua patria è lungi,
e che la sposa in quella Lasciò, volgendo l'una e l'altra spalla,
Pensa a lei solo, e sol di lei favella; Spesso inciampa coi piede,
anzi traballa, Nel mover la sua gamba ancorchè snella, E per
l'acqua talor, che vien dal Cielo, Asciutto in dosso non gli resta
un pelo.
26
Fatica e suda, benchè in mezzo al gelo, Nell'algente stagion,
per sè non solo, Ma per quella che avanti all'Evangelo, Fede
giurò per fin che vede il Polo; Sperando che ancor lei, piena
di zelo, Dietro l'orme di lui, dispieghi il volo, Che la moglie di
Ulisse imitar voglia, Che i Proci respingea dalla sua soglia.
27
li pastor, dove più l'erba germoglia,
Coi suo gregge a pascolar si scaglia,
Per la famiglia provveder di spoglia,
Come di vitto, tribola e travaglía ;
Si strazia il dì, colmo di pena e doglia,
Dietro gli armenti, o coll'accetta taglia,
E nella notte, affaticato e stanco,
Sù gli aridi finocchi adagia il fianco.
28
Per aver qualche lira o qualche franco, Sebbene alcun di lor cammini
cionco, Và per il bosco, al dritto lato e al manco, Osserva
ogni cespuglio, ed ogni tronco; Onde pigliar coi veltri un tasso,
ed anco Una lepre, un capriol, fra tronco e tronco, Ed una volpe che
dalla sua tana Misera, alquanto si trova lontana.
29
Nella collina e per la valle piana,
i lacci tende, o in altra parte amena,
Di lodole, di quaglie, la catana, Di merli e tordi, fà ricolma
e piena;
Nell'acque di una prossima marrana,
Colla nassa, un delfino, una balena,
Un cefalo, un'ombrina ed una triglia
Non prende mai, ma gli altri pesci piglia.
30
Fila talor la lana e l'assottiglia, Benchè non sempre la miglior
si sceglia, Di calze a provveder la sua famiglia, Lavora il giorno
e nella notte veglia; Della consorte, e dell'amabil figlia, Se chiude
gli occhi, il suo pensier lo sveglia, Nelle sue mani al fin scorge,
che viene Un foglio scritto, dalle patrie arene.
31
Lo schiude e legge, e nel sentir che bene Stà la sposa coi
figli in unione, Sente maggior vigor dentro le vene, Somma, prova
nel cuor, consolazione; Poi nell'udir che stia fra stenti e pene,
Nella presente e rigida stagione, Perchè fra quattro o cinque
settimane, Non avrà forse con che fare il pane.
32
Per un'istante estatico rimane, Come sì presto sia venuta al
fine, La provvista che fè con voglie umane, Di legumi, patate
e di farine; Pensa alla moglie, che di sera e mane, Non abbia fatte
che pietanze fine, Pizze, ciambelle, maccheroni e gnocchi, Senza bevere
mai l'acqua dei trocchi.
33
Per cui volgendo verso il Cielo gli occhi, Più di un sagrato
in ver pare che attacchi, Ma conoscendo ben che a lui sol tocchi,
La piaga medicar senza che gracchi; Alla moglie spedisce oltre i bajocchi
Bastanti a ricolmar di grano i sacchi, Di salacche e un'involto di
tormina, Essendo la Quaresima vicina.
34
Oh quante volte ad una cristallina Fonte dappresso, quando l'aria
è bruna, 0 quando il sol dall'indica marina, Sorge e fuga le
stelle ad una ad una; Dice: sposa, tu sei la mia rovina, Che non mi
dai consolazione alcuna, Per tua sola cagion, la vita stento, Alla
pioggia, alla grandine ed al vento.
35
Potessì almeno il core aver contento, Che nessun'altro ti venisse
accanto, Or che lungi da te, presso l'armento Mi aggiro, e penso a
te di tanto in tanto Se donna savia sei di buon talento, Aver potresti
di Sussanna il vanto, 0 pur della fedel moglie di Ulisse, Conforme
Omero, a noi ben la descrisse.
36
Almeno in casa tua non mai venisse, Quel buon'uomo che celebra le
messe, Perchè conforme un certo tai mi disse, Ama assai delle
femmine le fesse; Spero che verso me le luci fisse Vogli tener, per
l'unico interesse, Come io solo a te penso, onde potere Adempir pienamente
ogni dovere.
37
Cosi, rìvolti alle celesti sfere Gli occhi, dice sovente il
buon pastore, E per dare alla sposa ogni piacere, Strazia la vita
a futte quante l'ore; Quando poi son cessate le bufere, Che nel prato
spuntar si vede il fiore, E le vampe del sol di valle in valle, Sente
maggior di prìa sopra le spalle;
38
Pria di mettere il piè nel dritto calle, Per far ritorno al
suo nativo colle, Di cose verdi, e mezze rosse, e gialle,
Per la famiglia provveder si volle; Di tibet, di seta e di percalle,
Senza mettersi avanti Lui sol bemolle, Che vuoi dir, piano, e nella
borsa, fiacca, Non vi resta neppure una patacca.
39
Meno, tanti anni indietro, era la cacca Delle lor donne, e rneno era
la pecca, Si faceano con poco una polacca, Rachele, Sara e la bella
Rebecca; Oggi un'abito bello non si stacca, Se la fontana dei denari
è secca, Certe malgoffe andar vonno alla moda, Prima col cerchio
e poi con lunga coda.
40
Coteste no, da me si vanta e loda, Quella che il passo fa per ogni
strada, A tenor della gamba seria e soda, Che pian piano sen và
perchè non cada; L'altra ch'altro desìo par che non
oda, Che invece di un coltello, aver la spada, Che vuol da nana comparir
gigante, Queste ridur vorrei coll'ossa infrante.
41
Il suo marito pezzo d'ignorante, Sempre rivolto a lei, pensiero e
mente, Oltre di un bel zinale, ed un galante Abito, e fazzoletto alla
minente; Perchè la casa sua non sia mancante Di zucchero e
caffè, ben poco urgente, Ne acquista venti libre e forse trenta,
Per far la prole e la moglie contenta.
42
Non solo tutto questo, le presenta Non mica una bottiglia di acqua
tinta! Di rosolio, cannella, o pur di menta, 0 di altra qualità
la più distinta; Rhum della Giammaica acciò si senta,
Acquavita dell'ottima e non finta, Cose che prima non erano in uso,
E adesso a dire il ver, ne fanno abuso.
43
L'estate in Oriente, appena schiuso L'uscio dei nuovo dì ch'ho
bene intese Le donne in vece preparare il fuso, Per sostener della
famiglia il peso; Un pugno a tutte, le darei nel muso, Dalle quali
vien tosto il foco acceso, Non per far la minestra o la bucata, Ma
quella del caffè, bevanda grata.
44
Talor la genitrice e la cognata,
La sua commare e la vicina invita, Con qualche altra zitella o marita,
A bere un bicchiere di acquavita; li marito, che al fin ben decimata,
Si accorge, o pur del tutto esser finita, Non rimprovera mai la sua
diletta
Sposa, perchè l'adora e la rispetta.
45
Anzi, spesso le paga una foglietta,
Acciò la bocca noti la tenga asciutta,
Ch'in oggi, se ho da dir la cosa schietta, Ama di bere assai, la gente
tutta Che tante volte per la maledetta Ingordigia, il denar quasi
butta,
Ed accade sovente all'uom bevone, Che perde l' intelletto e la ragione.
46
Chi non darebbe in testa col bastone, Onde avessero l'ultime rovine,
Cotesta razza ingorda di persoue, Che credono le rose senza spine;
Non pensano, che lunga è la stagione, Che le provviste ognor
vengono al fine, Noti sanno che a restar senza monete, Noti si ponno
del dì, l'ore aver liete.
47
Ciò nasce per aver voglie indiscrete,
E le spese noti far, pari all'entrate,
Ala più, per far nel cuoi? tranquille e liete Le lor consorti
affabili e garbate;
Queste noi?, tutte, se voi noi sapete,
Di amor son degne, perchè sono ingrate E sconoscenti verso
i lor consorti, Che si rendono ree di mille torti.
48
Vi son fra li diversi, i malaccorti Pieni di buona fede, non esperti,
Ma taluni però sebbene accorti, Che gli occhi sù di
lor tengono aperti; Conoscono li pessimi trasporti, Che con astuzia
tengono coperli, Se della donna non vedi con gli occhi 1 falli, male
fai se tu la tocchi.
49
E senza dubbio gli uomini più sciocchi, Son dalle mogli trasformati
in becchi, E spesso camminando locchi locchi, Verso Corneto ne vanno
parecchi; Sento qualcuno che par che tarocchi, Perchè si trova
al numero dei vecchi, Perchè la moglie ancor tenera e fresca,
Baratta coi salame la ventresca.
50
Stupisce ognuno che la panza cresca Nel maggio, quando ritorna la
mosca, Alla garbata giovine Francesca, Perchè altr'amore par
che non conosca; Al marito non sol par che gli incresca, L'aria del
volto fa torbida e fosca, Che nell'ottobre dalla patria arena Partendo,
fe' con lei l'ultima cena.
51
Se lei rimase colla panza piena, Dovea chiamar di giugno la mammana,
Invece questa è di tre mesi appena Gravida, e forse qualche
settimana; Se il marito la collera non frena, Per questa gravidanza
così strana, Non avrà torto, anzi mi sembra poco, Se
con essa non fà maggior lo sfoco.
52
Le si dovrebbe dare a tempo e loco,
In quel bosco di pel mai sempre opaco.
Calci senza pietate, o darle foco
Colle mani legate con lo spaco;
Le si potrebbe fare un'altro gioco,
Ch'io posso dìr senza la rima in aco,
Carpirle uno per volta, tutti quanti
Quei peli sotto panni, nel davanti,
53
Dicendole con termini frizzanti Femmina che hai di bestia i sentimenti,
Dov'è l'amore che nudrir ti vanti, Per chi soffre per te rancori
e stenti Che move in vie scabrose i passi erranti, Esposto ai geli,
alle procelle, ai venti, Che pensa solo a te, donna crudele, Degna
di fare il fin di Gezabele.
54
Così compensi, perfida, infedele,
Il tuo consorte che ti adora e cole,
Che pone in opra tutte le cautele,
La casa sostener, non chè la prole;
Eri per gli occhi miei la Dea Cibele,
E che per questo prià che spunti il sole,
Comincio a travagliar per ogni verso,
Perchè la casa non vadi a traverso.
55
Quant'era meglio che ti fosse perso,
A questo, dir vorrei coi mio discorso,
Che innamorati di quel volto terso,
Per il quale tu stai sempre in disborso;
Tu non sapevi ch'era assai diverso
Il cuor di quella, che somiglia un orso,
Sai che son finte, perfide e bugiarde,
Ed hanno il cuor, che per un sol noti arde
56
Molte di loro sembrano bastarde, Che alle madri somigliano, balorde,
Noi le crediamo alici e sono sarde, Ed agiscono poi da lime sorde;
Da quelle di un facchin braccia gagliarde, Andrebbero legate colle
corde;
,Ad un albero poi lasciarle appese, Onde far non potessero altre offese.
57
Viva la donna affabile e coi?tese, Che di grazia tuttor piena rimase,
Che della casa ]imitar le spese, La temperanza ognor la persuase;
di tal tempra in questo e quel paese, Se ne trovano poche per le case,
,Che Penelope imiti nel lavoro, Ed il marito non trasformi in toro.
58
[1 tutto fà colle sue mani di oro,
Al povero non mostra animo avaro,
Non stà colle altre donne in concistoro,
Piega le mani al naspo ed al telaro;
Allo sposo per dar dolce ristoro,
Veglia le notti intere nel gennaro,
Coll'ago, con il fuso e la conocchia,
Non crediate ch'io dica una pastocchia.
59
Ime cerca il pantano la ranocchia, E come i lupi cercano la macchia
Conforme il cacciator 12 lepre adocchia Come cerca le rupi ogni cornacchia;
Come preme al curato la parrocchia Che gli presenta un'eccellente
pacchia, Così dovrebbe premere alla donna, Di esser della sua
casa la colonna.
60
Una femmina poco o niente assonna, Di giorno e notte in travagliar
si affanna, Per imitar la vigile sua nonna, Che il zucchero facea
passar per mamma; E si provvede di zinale e gonna Ed al marito ch'ama
e non inganna, Oltre quattro nuovissime lenzuola, Fà ritrovar
calzoni e camiciuola.
61
Questo può far la donna ancorchè sola, Che prima fila
e poi tesse la tela, Che prìa del giorno al suo travaglio vola,
Ed accende, se occorre, la candela; L'uomo tornando a casa si consola,
Ricolma nel veder di ogni cautela, La sposa che per lui di amore avvampa,
Che cori i figli onestamente campa.
62
Di queste donne si ruppe la stampa, Per cui dinanzi a noi più
non ne compa, Riesce nessuna, e tutte l'ore inciampa Chiunque avanti
a quelle di oggi zompa; Per me le prenderei per una zampa, Giacchè
di fedeltà non fanno pompa, E poi le gitterei dentro di un
pozzo, Che l'acqua le giungesse al gargarozzo.
63
Donne, cotesto mio piccolo abbozzo Di rime, fra li denti un frutto
lazzo, Forse vi sembrerà per esser sozzo, E perchè con
il quale vi strapazzo; lo scrivo il vero per buscare il tozzo, Che
a scriver le bugie sarìa da pazzo, E la cagion per cui molte
ne frizzo, Perchè hanno il cuoi? nero come un tizzo.
