LA DIFESA
DELLE

Ragazze di Villa Piedelpoggio
NELL'ANNO 1839

STANZA PRIMA

1

Se dei Castalio rio Febee sorelle, Ora porgete a me limpide stille, Potrò di varie giovanette belle, L'alta virtù ridir, con versi mille; Per far che il grido, in queste parti e quelle, Si oda per tutte le propinque ville, Sciolgo la lingua, omai che i labri asciutti Bagnar mi sento dai soavi flutti.
2
In Piedelpoggio prìa, gli uomini tutti Benchè pastori, eran sagaci e dotti, Da quei più annosi nelle scienze istrutti, Con fervore apprendeano i giovanotti; Di cinque in anni sei leggeano i putti, E scrivevano ancor prose strambotti, Fra le donne però non v'era in vero, Chi conoscesse l'alfabeto intero.
3
Ma in oggi, corpo di Martin Lutero, Scusate amici miei se parlo chiaro, Fra i giovanotti ritrovar non spero, Chi possa andar coi letterati al paro; Legger san quasi tutti, e questo è vero, Tutti portano in tasca il calamaro, Ma raro è quello, come dir si suole, Che? sappia insiem mettere due parole.

4
Dirò, che studia nelle greche scuole Di Piedelpoggio, il sesso femminile, Senz'adular, le piccole figliuole Leggono i libri nell'età puerile; E l'altre poi, nè vi racconto fole Che son degli anni nel più verde aprile, Oltre che legger sanno francamente, Scrivendo, hanno un carattere eccellente.
5
E quest'è segno tal, che di gran mente
Siano, piccole e grandi, tutte quante,
E che ciascuna vergine studente,
Abbia un saggio maestro a par di Biante;
Un de' quali è Giovanni alios potente,
Che benchè anziano, è dello studio amante,
Qual non dico bugia, nel dar lezione,
Vince per la maniera, il gran Platone.
6
Domenica, che appena una stagione Studiò sotto costui le cose umane, Con gran facilità scrive e compone, Che ogni persona stupita rimane La figlia di Giuseppe Maccherone, Divenne dotta in poche settimane, Che alle proposte altrui franca risponde, Non si perde giammai, nè si confonde.

7
Luca per gran saper che in seno asconde,
Maestro imparegiabile si rende,
Poichè svela tutt'or cose profonde,
A chiunque da lui lezione prende;
Giuseppe Risa, a cui grazie diffonde
Quel Nume, che nel Ciel vago risplende
Qual Marco Tullio, il suo saper sublime
Nell'altrui mente agevolmente imprime

8
Potessi, don Andrea colle mie rime, Erger vorrei sull'etra a par di un Nume, Che coi fanciulli in guisa tal si esprime, Che par che versi di eloquenza un fiume; E mentre li corregge e li reprime, Di educarli qual padre, ha per costume, De' quali, ciascuno, io sò per cosa vera, Studia presso di lui, mattina e sera.
9
Oltre i maschi, di cui fotla è la schiera, Le garbate ragazze a centinara Vanno da lui, che con gentil maniera A legger bene, a l'una e l'altra impara; Or con allegra, ed or con brusca cera, La sferza adopra, e il guiderdon prepara, E sì maschi, che femmine studenti, Sotto un tal correttor, fanno portenti.

10
Senz'esagerazion: virgole, accenti, Questi distinguer sanno in brevi istanti, Con lingua sciolta sillabar li senti, Colle vocali unir le consonanti; E scrivendo, gli apostrofi occorrenti, Le parentisi e i punti interessanti, Pur sanno a tempo e loco a meraviglia Che alli grandi, inarcar fanno le ciglia.
11
Per dire il vero, ogni legiadra figlia Presso maestro tal, trema qual foglia, Ma lui, che tutti al ben oprar consiglia
Con dolci modi, ad imparar le invoglia;
Per cui ciascuna, Lui orator somiglia,
Se l'odi ragionar, giammai s'imbroglia;
E sono tutte in guisa tal corrette,
Che in esse, amici miei, manca un ette

12
Taluna di coteste giovanette, Che fanno a gara per divenir dotte, Nella rocca non più le mani mette, Qual solea per filar, tutta la notte; Apre un libro, poi legge, indi riflette, Qual Diogene facea dentro la botte, E per recarsi alcune cose a mente, Le faccende di casa oblìa sovente.
13
Ma se ad esse, in saper non manca niente, Che star potrìano alla Dea Palla a fronte, Ciascun de' giovanetti al dì presente, Dovrebbe andare al par di Anacreonte; 0 pareggiar Demostene eloquente, Che in Crecia fù, di ogni sapere il fonte, Perchè, sebbene abbitator campestro, L'uno e l'altro aver può, saggio maestro.
14
Un Pietrolucci Andrea, cui cede il destro Lato di Apollo, il principal ministro, Essendo impareggiabile per l'estro, Fra Virgilio ed Omero io lo registro; Questo che egual non ha l'orbe terrestro, Dal Tigri al Tago, e dal Tamigi all'Istro, Per essere fatto delle scienze un'arca, Chi l'ode ragionar, le ciglia inarca.
15
Questi, di alto saper la mente carca, Che le sole virtù non altro cerca, Qual'esperto Newton per l'aere varca, Qual nuovo Galilei gli astri ricerca; Emulator di Dante e di Petrarca, Che fra gli illustri, si distingue e merc Anzi per dire il ver, fra noi si crede, Un novello Esculapio, un Archimede.
16


Presso costui, che superior si vede A quanti uomini mai l'orbe racchiude, Ciascun potrebbe divenire erede Del suo sapere, e di ogni stia virtude; Molti giovani a lui volgono il piede, Ma perchè dura, qual vulcana incude Hanno la testa, e scarsa di talento, Scrive ciascuno, il proprio nome a stento.
17
Ogni custode di lanuto armento, Puote il giorno studiar di tanto in tanto, A comprender de' sci?itti il sentimento, Quando a buon correttor si trova accanto; Scrivere ancor ben cento versi, e cento Rime sonanti, s'è amator dei canto, Ma se voglia non ha, li giorni mena Pigro, di un verde lauro all'ombra amena.
18
Giuseppe Maccheroni or pongo in scena, Come interessantissima persona, Che spesso il veggo colle muse a cena, Or sul monte Parnaso, o in Elicona, Perchè di ogni saper la mente ha piena, Un Metastasio par quando ragiona, Che in tal guisa nel petto il cuor ne scuote, Da far restar colle pupille immote.
19
Costui, non sol del Carro di Baote, Delle costellazioni ch'in Ciel vedete, Dell'Orsa, del Can sirio, in chiare note Delle sfere parlar lo sentirete, Il Cerchio zodiacal descriver puote, L'ordine de' pianeti e le comete, Le meteore, le stelle ad ogni passo, Che Urania il mena su nel Cielo a si?lasso.

20
Se fosse duro a paragon di un sasso, Un giovane che a lui stasse da presso, Potrìa ben tosto gareggiar coi Tasso, 0 superar nel canto Apollo istesso; E benchè tenti di gettare al basso Copernico, dirò sempre lo stesso, Che al mondo, un uomo egli è senza l'eguale, Onde vivrà fra noi, sempre immortale.
21
Angelo Pietrolucci un Giovenale, Perchè possiede l'Apollineo stile, Domenico i! germano, è tale quale, E l'uno e l'altro al genitor simile; Questi due genii in testa hanno gran sale, Per cui pari non han da Battro a Tile, Che scuola dar potrìan sol per trastullo, Ad Orazio, a Properzio ed a Catullo.
22
Presso costoro, ogni pastor fanciullo, Se in testa avesse un filo di cervello, Potrebbe divenir nuovo Tibullo, Un'altro Anfione, ed un'Orfeo novello; Ma senza voglia, corpo di Locullo, Imparar non potrà, questo nè quello, E questa è la cagion, per cui non sanno, Quant'ore ha il giorno, e quanti giorni l'anno.
23
Quei che spesso lezione a prender vanno, Che talora neppur prendono sonno, Inquietare il maestro altro non fanno, Che ciò ch'ei dice lor, mai far non vonno, Se i discepoli, ascolto mai noti danno, Ai lor maestri imparar, mai non ponno, Ma ben si rimarrà ciascuno incolto Senz'apprender giammai . , poco nè molto.

24
Odi lettor, se questo è un far da stolto, Uno che fonda il suo pensier tropp'alto, In vece aver tuttor l'occhio rivolto Ne' chiari libri ch'io tuttora esalto; Benchè legger non sà, libero e sciolto, All'opre eroiche il veggo dar l'assalto; Legge, rilegge, e si prende diletto, Ma poi ridìr non sà ciò ch'abbia letto.
25
Felice, di gran mente e di intelletto, Che un Ortenzio potrìa tener di sotto, Se da buon correttor fosse coi?retto, Sarebbe l'uomo il più sagace e dotto;
Che se legge un'ottava od un sonetto, Ancorchè eroico, il sà spiegar di botto;
Della Mitologia molto discorre, Gli manca solo di saper comporre.
26
Benedetto, dì cui la fama scorre,
Dal mar dell'Indie nelle Maure terre,
Con piè veloce appo de' libri corre,
Qual corrèa d i etro alle ricchezze Verre, Onde di Achille, e del famoso Ettorre, Potrìa parlar di mille antiche guerre;
Poichè la sacra e la profana istoria, Senza adular, la sà tutta a memoria.
27
Sebben ira gli aritmetici, vittoria Il veggo riportar con faccia seria, Non si vanta giammai, nè pur si gloria Rutilio superar per la materia, Che conforme la cosa è a noi notoria, Anch'esso di saper vive in miseria, E vuoi provar s'egli la mente ha inferma? Dice che gira il sol, la terra è ferma.

28
Un tal Brunone tutto Ciò Conforma E del globo non sà qual sia la forma, E' ver che in parte solitaria ed erma, Và dell'armento, ognor segnando l'orma, Ma contro i vati con vigor si scherma, Se l'interroga alcun par che non dorma, Per dir la verità sà qualche cosa: Srcive in poesia senza studiar la prosa.
29
Di Gíorgio il figlio, che non trova posa, Per l'orme rintracciar della sua musa, ,Essendo una persona assai studiosa, Crede qualcun ch'abbia la mente infusa; Ma benchè dotto dì parlar non osa, Tiene per non sbagliar la bocca chiusa, Qual segno questo sia non ve lo dico, Per timor che diventi un mio nemico.
30
Sabbatino il germano a par di Pico, Colle gabale ognor si prende giuoco, E pur dei Casamia sebbene amico, Sù gli astri ragionar sà molto poco, Parla del tempo, e non capisce un fico, Dice ch'il globo stà sempre in un loco, Fà dei conteggi, e non sà far le prove, Nè dei tre, nè del sette e nè dei nove.
31
Gregorio Lalli sò che il labbro move, Sol per cantar colle Castalie Dive, Parla di Marte, di Saturno e Giove, Della Dea delle biade, e dell'olive; Non sà però chi trasformossi in bove, Del mar di Egitto sull'erbose rive, Se scrive poi, questa non è bugia, Non conosce Ai error eli ortografia.

32
Giosafat amator della poesia, Che nato par sulla pendice Ascrea, Quantunque parli di mitologia, Non sa chi fosse la più bella Dea; Celmet legge, e non sà dir di Uria, Come perdèr la vita, e Bersabea, Parlar non sà del passo dei mar rosso E pur si tiene per un pezzo grosso.
33
Vincenzo che studiando a più non posso, Le rime e i versi di Torquato Tasso, Non ti sà dir per qual cagion fù mosso, Fra Tancredi il duello, ed il Circasso, Nè da chi fosse Soliman percosso, Nel campo ove restò di vita casso, Insomma egli spiegar non sà un'ottava, E pur si tiene per persona brava.
34
Valentino, che ognor si bagna e lava, Nel fonte in cui l'acqua vital si trova, Sembra nei canto, un ch'Euridice amava, E che a Lino sia egual, ciascun l'approva De' vati entrar nel numero sperava, Ma fù varia per lui, fatta ogni prova, Perchè non usa Apollo ornar le chiome, A chi scriver non sà, neppur suo nome.
35
Felice Lalli, amici miei, siccome Pretende esser poeta, e falegname In cotal circostanza, il quanto, il come Dirò di lui nel dover far l'esame ; Crede nel canto, d'aver vinte e dome, Le nove Muse in singolar certame, E non si avvede ancor, poveri) sciocco, Che per cantar, non vai mezzo bajocco.

36
Benchè mostri di aver pensier barocco, E che facci tutt'or di errori un sacco, Non crediate però che sia un alocco, Che potrìa certo farvi alzare il tacco Poichè nel seri quando si sente tocco, Dall'umor potentissimo di Bacco, Scioglie con tal'ardor la lingua e il metro, Che farìa star cento poeti addietro.
37
Marcuccio invece del pastor di ' jetro,
L'orme seguire o maneggiar l'aratro,
Alza la voce all'aere chiaro e tetro,
Qual fece Orfeo nell'infernal baràtro,
E qual cigno di Pindo o dì Libètro,
Crede poter cantar in un teatro,
E pur non sà dir altro alla sua vaga:
Se medica tu sei sana la piaga.
38
Rende la voglia sua contenta e paga, Giuseppe, che coi libri il tempo impiega, Qual sia l'autor migliore osserva e indaga, Che per conoscitor nessuno il nega ; Nell'opra del Marin lo sguardo appaga, Legge con attenzione, ma nulla spiega, Questo non sò, per ciò vorrei Da voi saperlo, o cari amici miei.
39
Tommaso, a paragon de' Semidei, Sò che pretendi star, noti vi son ?tiai, Se imitator del genitor tu sei, Letterato scientifico sarai ; Leggi l'Uff . ;zio, e il miserere mei, Per qual cagion di poi, spiegar non sai Reciti in sacrestia tutte le feste L'epistole, e non sai cosa son queste

40
Pietrangelo, tu sei medico agreste, Per cui vai per li piani, e per le coste, Cercando per li monti, e le foreste, Per poter rintracciar l'erbe nascoste Delle quali, se a te son manifeste Le virtù che più volte in opra hai poste, Dimmi : perchè la tua medica mano. Render non seppe mai, ferito sano?
41
Ah sì lo sò, tu sei molto lontano, Dal saper d'Esculapio e di Galeno, E col NIattioli ti affatichi in vano, Per acquistar le cognizioni appieno Per esser professore, benchè villano, Studiar convien due lustri interi almeno, Sotto la correzion di un uom primario, Che sia di ogni virtude un vasto erario.
42
Pasquale ancorchè figlio ereditario, Di un vate che in Parnaso ebbe l'imperio, Alla lettura fu sempre contrario, Non ebbe di imparar mai desiderio Per dire il ver, nel suo pensiero è vario, Scherza qual putto, e non sà stai ? mai serio, E sebbene poetar non sia capace, Pur di Apollo, si tien per un seguace.


43
Nicola, la poesia sò che ti piace, Ma non hai per cantar neppur la voce, E ti mostri talor cotanto audace, Che sembri appunto un animal feroce E pur se udire il vero a te non spiace, Tu compitar non sai la Santa Croce, Tu non sai chi sia Clio, nè malpomene, Perciò tant'aria aver, non ti stà bene.

44
Lascia Elicona omai, lascia Ippocrene, Cerca per ber, li fòssi e le marrane, Del formaggio parlar, sol ti conviene, Dell'agna, della pecora e del cane, Parla de' monti, e delle valli amene, Di cicale, di vespe e di zampane, Che mentre al favellar, la lingua sciogli, Altro non fai, che fabbricare imbrogli.
45
Giuseppe, anche per te provò cordogli, Perchè con quel panzaccia ti consigli, E per tuo correttor, lieto lo accogli, E volentieri al suo voler ti appigli ; Ma la nave salvar, non può da' scogli Il nocchier, ch'evitar non sà i perigli, Maestro che non sa, non potrà certo Un discepolo suo, rendere esperto,
48
Un giovane, che sia pien d'eloquenza, Quando si trova in simil circostanza, Ragiona sempre con indifferenza, Senza adirarsi, e la questione scanza; Soffre talor l'oltraggio e l'insolenza, Conoscendo l'effetto d'ignoranza, Con saggi detti al fin rende placato, Chi di sdegno e furor si mostra armato.
49
Questi, di cui lettor dianzi ho parlato, E vi ho mostrato ad uno ad uno a dito, Perchè non hanno il galateo studiato, E per dovere, il genitor sentito, Senz'un perchè, si fanno uscire il fiato, Qualora gli viene, di parlar prLirito, E dico il ver, nè creder ch'io t'inganni, Se parlano non fanno altro che danni.

50
Ma nasce ciò, perchè sul fior degli anni. Testardi essendo a paragon degli Unni, Le scuole obliàno, e in un spiegano i vanni, Dietro a Nerea, fatti di Amore alunni; E immersi ognor negli amorosi affanni, Passano alcune estate e molti autunni, Delirando, per questa e quella parte, Senza rivolger mai gli occhi alle carte.
51
Le giovanette colle trecce sparte, Perchè d'esser più colte hanno la sorte, Dentro la rete onde fù preso Marte, Cader li fanno con parole accorte, Lor trafiggono il cor, da parte in parte, Fra le catene avvinti, e fra ritorte, Onde ne potrei fare il paragone, Che son, qual presso Dalila, Sansone.
52
Amici, ho da sentir dalle persone, Che abbitano le ville a noi vicine, Che imitar niun di voi seppe Andreone, Che le scuole studiò, greche e latine? Deh svegliatevi omai l'emulazione Fate che nasca in voi con un buon fine, Date principio alla lettura, e fate Che restino le donne superate.
53
Contro di ine però non vi sdegnate, Se con i versi che presenti avete, Dico che le virtù non molto amate E che bramosi di studiar non siete; Che delle dive vostre innamorate, Un dì pregato fui, se noi sapete, Di fare un'opra, ed io ch'ho per sistema Di obbedir tutti domandai del tenia.

54
Una di lor che merita il diadema, Giovane saggia, di gran pregio e stima, Disse: prima ch'io giunga all'erema, Voglio li torti vendicar di prima; Non è più tempo di passar da scema, Sappi, che in terza ed in ottava rima, Il viril sesso con ardir, talora Me screditò, colle compagne ancora.
55
Tu puoi considerar, se mi divora Il cor nel petto, simile sciagura, Ma se t'è grato consolar chi plora, Di difender noi, prendi ogni cura; Prendi la penna, e a quei che sino ad ora Han mal detto di noi, la bocca attura, E metti al chiaro per maggior dispetto, Lor pretenzioni, ed ogni lor difetto.
56
Per la ragion ch'avea vi parlo schietto, E perchè il volto avea troppo ben fatto, Il suo parlare in me fe' tale effetto, Ch'io promisi obbedir quasi ad un tratto; Di dar principio eccomi al fin costretto, Già stò la penna di temprare in atto, Prendo la carta, il calamaio, e scrivo, Per far dell'una e l'altra, il cor giulivo.
57
Non per toccare alcun di voi sul vivo, Miei cari amici oggi la penna io movo, Sol per ischerzo il vostro oprar descrivo, Giacchè al presente altro da far non trovo: Ma nel caso a qualcun sembra offensivo, Questo Carme da me scritto, di nuovo Che mi leghi, se può, le mani, il collo, E mi conduca al tribunal di Apollo.